Officium natura docet

FRATRIA

Contatto: info@fratria.ch

Ci impegnamo nella promozione di eventi culturali e artistici con particolare attenzione agli aspetti socio-economici, ambientali, di salute pubblica, politici e esoterici. L' Associazione può organizzare eventi, tavole rotonde e potrà gestire siti web, pubblicazioni, media cartacei ed elettronici oltre che partecipare alla vita politica cantonale, nazionale ed internazionale.

FRATRIA ha il piacere di annunciare la presentazione del libro:

 

DEMOFOBIA
di Diego Fusaro
 

Il libro sarà presentato dall'autore, venerdì 13 settembre 2024 alle ore 18:30 presso l'Albergo Milano, Mendrisio (Piazzale Stazione).

Gli interessati sono pregati di annunciarsi a accredito@fratria.ch 

 

Al governo dei Paesi occidentali si alternano partiti di destra e di sinistra, eppure nulla sembra di cambiare davvero per il popolo e le sue istanze. È ciò che Diego Fusaro chiama l'alternanza senza alternativa, con le fazioni della vecchia politica "egualmente sussunte sotto l'ordine neoliberale". Quelli che un tempo erano schieramenti in lotta per due opposte visioni del mondo e dell'agire politico sono ormai le facce intercambiabili della stessa medaglia: l'agenda turbocapitalistica. La sinistra ha abdicato al suo ruolo di strumento di emancipazione globale; e, nei fatti, la destra cosiddetta sovranista non si cura minimamente del popolo sovrano. Siamo così passati dalla democrazia - il governo del popolo, nella dialettica delle sue articolazioni - alla demofobia: la paura del popolo da parte di chi gestisce monoliticamente il potere. Oggi la "destra bluette" del denaro e la "sinistria fucsia" del costume non sono altro che le due ali dell'aquila neoliberale, parti organiche del medesimo sistema, che "si riproduce economicamente a destra, politicamente al centro e culturalmente a sinistra". Così il partito unico del capitale e della sua omogeneità bipolare egemonizza lo spazio politico, e "dall'alto vola rapacemente verso il basso, aggredendo ceti medi e classi lavoratrici, popoli e nazioni". 

Benvenuti nella fantarealtà

1° agosto 2024

Chi, nell’anno del Signore 2024 non è più un adolescente, che cosa avrebbe risposto a un ipotetico interlocutore se, solo trent’anni fa, gli avessero detto che un presidente degli Stati Uniti, palesemente affetto da demenza senile, sarebbe stato mandato allo sbaraglio dal suo stesso partito ad affrontare il candidato del partito repubblicano, in vista delle elezioni presidenziali?

Che cosa avrebbe risposto se qualcuno gli avesse detto che, con l’aperto appoggio di tutto il mondo occidentale, lo Stato nato grazie alla vittoria degli Alleati nella II Guerra Mondiale, violando ogni legge del diritto internazionale e risoluzione delle Nazioni Unite, avrebbe occupato terre altrui, vi avrebbe trasferito 800 mila coloni illegali, avrebbe sterminato, in pochi mesi, decine di migliaia di civili e bambini palestinesi con il pretesto della lotta al terrorismo, permettendo ai propri soldati di diffondere pure filmati in cui i militari esultano per avere smembrato corpi di neonati?

Che cosa avrebbe detto se, alle Olimpiadi, avesse visto una parodia dell’Ultima Cena in cui una lesbica ebrea diversamente magra, in compagnia di transessuali e travestiti impegnati ad accarezzare lascivamente un bambino, avessero deriso Gesù Cristo?

Che cosa avrebbe detto se avesse visto una donna affrontare in una gara olimpionica un uomo, perché tale uomo si sente donna?

Che cosa avrebbe detto se, dopo aver visto il papa intronizzare in Vaticano Martin Lutero e idoli pagani, avesse sentito il pontefice di Santa Romana Chiesa (in realtà un antipapa) dichiarare a un noto giornalista che l’inferno non esiste, poi che le anime malvage dopo la morte non vanno negli Inferi, ma si dissolvono (?!), per poi concludere la telefonata in diretta con una fedele con un rassicurante “ci rivedremo all’inferno”?

Che cosa avrebbe detto se, in Cina, avessero trapiantato cellule di un cervello umano su un robot, in vista della completa realizzazione di una nuova dottrina chiamata transumanesimo, pensata per creare chimere e mostri, mezzi uomini e mezze macchine?

Che cosa avrebbe risposto se gli avessero detto che, in Svizzera, la neutralità sarebbe stata ridotta ad una farsa,  con il fu partitone e alcuni consigliere federali a caldeggiare un avvicinamento della Confederazione alla NATO?

Che cosa avrebbe detto se la Russia, l’OMS, i lock down, le mascherine…

La lista è lunga.

Ma, con ogni probabilità, avrebbe detto che era necessario chiamare un’ambulanza e trasportare il povero pazzo in quel di Mendrisio.

Buon Primo agosto!

 

 

Joe Biden, l'eclissi dell'Occidente e la morte della stampa

1° luglio 2024

Le penose e imbarazzanti immagini di Joe Biden nel corso del primo dibattito televisivo con Donad Trump in vista delle elezioni presidenziali USA, previste in novembre, sono lo specchio fedele del mondo occidentale contemporaneo: una fogna nella quale sono sprofondati oltre duemila anni di civiltà.

Sarebbe incivile infierire contro un uomo colpito da una delle più terribili malattie che possano consumare un essere umano.  Ma la conclamata demenza senile del presidente USA apre scenari preoccupanti e ci mostra, da una parte l’aberrante cinismo dello staff che circonda il presidente americano, e di cosa è capace il Deep State. Dall’altra, evidenzia la presenza di una stampa sempre più servile, disonesta, incapace di svolgere il proprio lavoro.

In una parola, perfettamente inutile.

Una realtà che, da “cane da guardia del potere”, nel corso degli anni si è sempre più trasformata in “cane da riporto”,  pronta a servire i poteri forti, a godere dei suoi favori e privilegi, a confezionare “notizie” gradite ai soliti noti, a dispensare solo verità ufficiali, a delegittimare gli avversari, a tacere avvenimenti fondamentali distorcendo alcuni fatti e abbellendone altri, mentendo spudoratamente.

Il rapido deterioramento mentale dell’uomo a capo della più grande potenza mondiale è evidente da anni. Ma, sino alla scorsa settimana, quando la demenza senile è esplosa in mondovisione in tutta la sua virulenza e squallore, nessuna testata convenzionale aveva mai osato descrivere ciò che stava capitando davanti agli occhi dei cittadini di tutto il pianeta Terra.

Fino a quando Donald Trump, nel corso del dibattito, ha riassunto la situazione con una sferzante battuta: “Non ho capito cosa ha detto. E forse non l’ha capito nemmeno lui”.

Ora, gli scodinzolanti camerieri della carta stampata e delle testate online e radio televisive fingono stupore, pongono domande, dipingono scenari di cui avrebbero dovuto parlarci molto tempo fa.

Una stampa simile è peggiore di quella presente nei Paesi retti da un regime di qualsiasi natura. In una dittatura conclamata la gente è almeno consapevole della privazione della libertà e della mistificazione della verità.

 In una camuffata da democrazia, no.

Resta da capire come mai il Partito democratico degli Stai Uniti d’America abbia deciso di fucilare il suo candidato in pubblico, in mondovisione, in uno dei più importanti appuntamenti prima delle elezioni, perfettamente consapevole di cosa sarebbe capitato.  

Resta da capire come mai questi mostri abbiano aspettato tanto.

Come mai abbiano preferito mostrare in modo tanto eclatante, anche ai più distratti, lo stato di degrado, in primo luogo morale, in cui sono precipitati gli Stati Uniti d’America, di cui l’Europa - Svizzera compresa - è vassallo sempre più servile.

L’ipotesi più probabile è che i cinici spin doctors di un partito palesemente allo sbando intendano presentare un altro candidato, costringendo Joe Biden alla rinuncia.

La legge lo permette.

È uno scenario probabile.

Ma, per il momento, l’anziano e malandato presidente ha fatto sapere di non voler fare un passo indietro.

Forse qualcuno ha fatto i conti senza l’oste.

Questo è il mondo in cui viviamo.

A questo si è ridotta la cosiddetta democrazia dei Paesi occidentali: siamo letteralmente nelle mani di una banda di pazzi.

Sionisti al Rösti e amnesie selettive

25 maggio 2024

 

 

Dopo la decisione della Corte penale internazionale che, tramite il suo procuratore capo, il cittadino britannico Karim Khan, ha chiesto un mandato d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e alcuni leader dell’organizzazione palestinese Hamas, anche in Svizzera abbiamo assistito a scene imbarazzanti.

Vedremo se i mandati verranno convalidati nelle prossime settimane, ma vale la pena ricordare che la Corte penale internazionale non è riconosciuta da molti Paesi tra i quali, ça va sans dire, c’è pure Israele. È la stessa realtà che, tempo fa, ha chiesto l’arresto del presidente russo Putin, accolta però tra squilli di tromba e tripudi di gioia.

Tra i più scomposti giullari filo israeliani nostrani ci sono esponenti di partiti elvetici che, tronfi e indignati per l’affronto all’amico Bibì, appoggiano il regime di Tel Aviv solo perché espressione di un Paese nazionalista e antimusulmano, attualmente retto da alcuni partiti di destra (e di estrema destra).

Politici totalmente dimentichi di cosa è successo, 26 anni fa, ai danni della Confederazione Elvetica, con l’affaire degli “averi ebraici”.

Stiamo parlando di politici dimentichi della rimozione dell’ambasciatore svizzero a Washington, Carlo Jagmetti, in quel periodo reo di aver avvisato il Consiglio federale della guerra economico-finanziaria che si stava pianificando a Washington, insieme alla comunità ebraica.

Politici dimentichi di cosa aveva in mente Edgmar Bronfman, allora presidente del Congresso ebraico mondiale, ai danni del nostro Paese.

Politici dimentichi di quali intenzioni aveva il fanatico senatore italo-americano Alfonse D’Amato, sionista a tutto tondo, nei confronti del nostro Paese.

Politici senza memoria.

O senza dignità.

Dopo la notizia dell’arresto all’amico Bibì, i  camerieri del popolo eletto sono insorti, dentro e fuori i confini nazionali, basiti per il fatto che il regime sionista infanticida e l’organizzazione Hamas siano state messe sullo stesso piano.

E noi ci accodiamo all’indignazione. Perché, in effetti, è un’equiparazione scorretta: il regime di Tel Aviv è peggio.

Molto peggio.

Atteniamoci ai fatti.

Da una parte abbiamo uno Stato indipendente e sovrano che, per punire una manciata di terroristi, in sette mesi ha provocato la morte di 43 mila civili palestinesi, 16 mila dei quali bambini, e ha raso al suolo un territorio ormai ridotto a uno spettrale cumulo di macerie.

Dall’altra ci troviamo di fronte a  un’organizzazione che, da quando è scoppiato il conflitto, di morti sul campo ne ha lasciati 1200 (compresi quelli periti sotto fuoco amico…).

Intendiamoci: in ogni Paese, in ogni situazione e in ogni circostanza, anche un singolo morto è un morto di troppo.  Ma la disparità di forze in campo nella striscia di Gaza è tale che parlare di mancanza di senso delle proporzioni e abuso di legittima difesa da parte del regime sionista è solo un eufemismo.

Del resto, Israele ha sempre seguito un certo modus operandi, tollerato da tutto il mondo che – giustamente - non perdona neppure la manganellata di un agente di polizia a un criminale armato, ma chiude gli occhi di fronte ai più atroci crimini di qualcun altro: se in un palazzo si sospetta la presenza di un presunto (si badi bene, presunto) terrorista, il regime di Tel Aviv fa bombardare l’intero edificio.

Con tutti gli inquilini che ci abitano.

Donne, vecchi e bambini compresi.

Quindi, di cosa ci dovremmo stupire, oggi?

Ad ogni modo, quella in atto in Terra Santa (Vaticano, se ci sei, batti un colpo…) non è una guerra. Ma uno sterminio programmato a tavolino, per sbarazzarsi di un intero popolo.

E si chiama genocidio. 

Obiettivo che i sionisti hanno in agenda dal 1948, come dimostrano tonnellate di documenti noti a tutte le cancellerie internazionali.

Inoltre, una guerra presuppone l’esistenza di due o più Paesi che si fronteggiano. E di altrettanti eserciti.

Ma la Palestina non è uno Stato indipendente. E non lo è non solo per volere di Israele, ma anche a causa del servile atteggiamento dei suoi giullari sparsi nel mondo e che, per nostra disgrazia, sono pure incastonati tra le Alpi.

Per quanto riguarda l’esistenza di due o più  esercitii sarà bene glissare, vista la palese disparità di forze militari in campo.  Quando Hamas avrà carri armati, cacciabombardieri, portaerei et similia, ne riparleremo.

Ma, per favore, quando dalle macerie non spuntano corpi in divisa militare, ma teste di neonati, risparmiateci certe sceneggiate da indignazione a geometria variabile.

 

 

FRATRIA ha il piacere di annunciare la presentazione del libro:

 

LO ZAR ALESSANDRO I
di Dimitrij Sergeevic Merezkovskij

 

Il padre del simbolismo russo
 

Il libro verrà presentato insieme a Paolo Mathluothi, storico, che ne ha curato la prefazione, domenica 21 aprile 2024 alle ore 17:00 presso l'Osteria Teatro Unione, a Riva San Vitale (Ticino - Svizzera).

Storia di un monarca illuminato, diviso tra Rivoluzione e Reazione, tra il mondo dello spirito e i piaceri dei sensi, che suscitò grandissime speranze tra gli intellettuali russi quando promise che avrebbe regnato con le leggi e con il cuore; e se anche soffrì l'incudine sotto il martello lui fu quel martello che forgiò la Russia, Lui e nessun altro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli intoccabili 

17 aprile 2024

Come da prassi, l’ennesima, plateale violazione del diritto internazionale di cui lo Stato di Israele è ormai il più cinico attore a livello mondiale, non ha causato alcuna reazione da parte dell’Occidente. Nessuna condanna ufficiale da parte del mondo della politica. Nessuna reazione sdegnata da parte di una stampa sempre più asservita e circoncisa.

Dopo aver bombardato l’ambasciata iraniana in Siria, mettendo a segno, in un colpo solo, due violazioni della legge internazionale che tutti i Paesi – Israele esclusa, ovviamente - sono tenuti a rispettare, in questi giorni Tel Aviv scalpita, frigna e minaccia, senza che nessuno abbia il coraggio di muovere un dito, quantomeno per zittire questi macellai.

Il motivo è noto.

Teheran ha osato rispondere con una rappresaglia, peraltro puramente simbolica e compiuta attenendosi rigorosamente al diritto internazionale, che la prevede. Ma la reazione legittima dell’Iran, che non ha provocato neppure un morto, né messo fuori uso infrastrutture di alcun tipo, ci è stata dipinta come l’inizio della terza guerra mondiale, anche grazie alla complicità di chi, col vittimismo, ci gioca da quasi ottant’ anni.

Nessuno, in Svizzera e nel resto del mondo occidentale, ci ha ricordato che colpire un’ambasciata, peraltro falciando sedici persone (otto iraniani, tra cui due comandanti di alto livello della Guardia rivoluzionaria, cinque cittadini siriani, un  rappresentante libanese di Hezbollah e una donna con suo figlio) è, a tutti gli effetti, un atto di guerra. E che come tale andrebbe affrontato dalla comunità internazionale.

Nessuno prova neppure a ventilare l’ipotesi di sanzioni.

Nessuno evoca l’invio di truppe ONU (per quel che valgono…) che sarebbero già state spedite, armate di tutto punto, in qualsiasi altro Paese in circostanze analoghe.

Nessuno ricorda a Natanyahu e ai suoi sgherri gli ormai 34 mila civili palestinesi - di cui quasi 15 mila bambini - falciati negli ultimi sei mesi da un esercito che compie omicidi mirati sotto le insegne della stella di David. Esercito cui si permette non solo di colpire indiscriminatamente all’interno di quello che considera il proprio cortile di casa, ma persino altri Stati sovrani, dal Libano alla Siria.

Nessuno fa presente a Tel Aviv che, in fatto di terrorismo, Israele dovrebbe solo tacere, dal momento che è uno Stato nato non solo grazie alle persecuzioni subite dagli ebrei nella II guerra mondiale, ma anche per merito delle azioni immonde dell’Irgun e della banda Stern (organizzazioni terroristiche che hanno regalato allo Stato ebraico presidenti e capi di governo, ricevuti in pompa magna da mezzo mondo mentre avevano ancora le mani grondanti di sangue arabo e britannico).

Tutti, però, inorridiscono di fronte alla spettacolare, ma tiepida reazione iraniana, evocando scenari inquietanti non a causa di Israele, che sta facendo di tutto per provocare un inasprimento del conflitto in Medio Oriente, ma attribuendo ogni responsabilità ai persiani.

Mentre il genocidio del popolo palestinese prosegue senza sosta, arrivando – volutamente - a colpire anche rappresentanti di associazioni umanitarie e giornalisti che si permettono di raccontare i crimini di cui gli ebrei d’Israele si stanno macchiando, il regime infanticida sionista continua ad alzare la posta, indifferente persino alle risoluzioni dell’ONU. Che non sono consigli per gli acquisti, ma ordini, cui tutti gli Stati devono ottemperare.

Tutti, tranne i soliti noti.

Del resto, Israele - lo “Stato nazionale degli ebrei”, come recita la “legge della nazione” approvata dalla Knesset nel 2018 -  fa bene.

Anzi, benissimo.

Perché mai dovrebbe ridimensionare le proprie pretese, visto che chi potrebbe regolargli le valvole non lo fa, e stringe anzi i bulloni alle vittime, anziché ai carnefici?

Last but not least, nessuno ci ha raccontato che in questi giorni, in Terra Santa (la Neochiesa postcattolica si guarda bene dal ricordarci di cosa si tratta…), è giunta la “giovenca rossa”.

Gli ebrei del Monte del Tempio l’hanno fatta arrivare dai sionisti degli Stati Uniti e il 22 aprile la sgozzeranno (c’è chi, nel 2024, pratica ancora i sacrifici con gli animali…).

Il motivo?

Il motivo è un rito messianico per la fine dei tempi, che gli invasati sionisti intendono compiere sulla spianata delle moschee e che fa parte del processo di ricostruzione del tempio distrutto nel 70 d.C.. Riedificato il quale gli ebrei potranno accogliere l’avvento del Messia (mentre molti  cristiani, al contrario, avranno a che fare con quello dell’Anticristo).

Il che ci porta all’ABC del conflitto in atto.

Chi pensa che le vicende di Israele tocchino solo aspetti politici, geopolitici ed economici, non ha capito niente.

E significa che non ha letto una riga del Talmud.

Dove c’è scritto tutto quello che i giornalisti e i politici fingono di non sapere.

E che si rifiutano di rivelarci.

 

 

 

FRATRIA ha il piacere di annunciare la presentazione del libro:

DA PONTIDA AL METROPOL
La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega

Dopo anni di illazioni, falsi scoop giornalistici, speculazioni politiche, processi mediatici e indagini giudiziarie su fantomatici finanziamenti leciti alla Lega di Salvini; parla Gianluca Savoini, storico militante leghista e protagonista del clamoroso affaire Metropol. 

Il libro verrà presentato dall'autore domenica 14 aprile 2024 alle ore 17:00 presso l'Osteria Teatro Unione, a Riva San Vitale (Ticino - Svizzera). 

La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega

Il clamoroso Affaire Metropol raccontato direttamente, per la prima volta, da uno dei suoi protagonisti: Gianluca Savoini. Un’opera che assume i contorni di una biografia – quasi il diario di un militante – anche attraverso le varie fasi della politica estera e dei rapporti internazionali della Lega dagli anni 90 fino all’eclatante caso dell’Hotel Metropol di Mosca. Come  scrive Francesco Borgonovo nella prefazione, “chi la pensa diversamente, chi milita sul fronte opposto, è prima di tutto un “cattivo”, una bestia, un impresentabile, qualcuno che va eliminato costi quel che costi. Gianluca Savoini è il cattivo perfetto – il mostro – perfetto per finire sui giornali e venire linciato, perfetto per essere usato come arma politica contro il suo partito, perfetto per incarnare il Male Assoluto. Ecco perché è interessante e importante la lettura di questo volume: perché anche i mostri parlano e, talvolta, sanno persino sorprendere". 

Rammentiamo che la narrativa giornalistica di allora ebbe pure degli strascichi nel Canton Ticino.
https://www.rsi.ch/info/ticino-grigioni-e-insubria/Sovranisti-made-in-Ticino--1197634.html

 

 


 

L'apoteosi di Putin. E la nostra.

19 marzo 2024

La democrazia di stampo occidentale ha un singolare concetto della libertà. Ed è quello che contempla il rispetto dell’altro solo se personaggi politici, sistemi economici e di governo, agende e visioni del mondo rimangono entro un alveo prestabilito, i cui contorni sono quelli - ed esclusivamente quelli - definiti da centrali operative non elette da nessuno, che agiscono nell’ombra e che, più prosaicamente, sono quelli del bue che dà del cornuto all’asino.

Parliamoci chiaro.

Oggi, nel mondo occidentale, paese più, paese meno, l’orchestra non viene diretta da uomini politici senza macchia e senza paura. Ma dai membri di consigli d’amministrazione di multinazionali e da presidenti di società e associazioni senza alcuna legittimità popolare.

Dunque, prima di muovere critiche infondate al funzionamento, senza dubbio imperfetto, della democrazia russa, non sarebbe una cattiva idea rispolverare il Vangelo di Luca, là dove Gesù afferma “come potrai dire al tuo fratello 'permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio', mentre nell'occhio tuo c'è la trave?”.

Per giorni, prima delle elezioni in Russia, i mass media politicamente corretti e stonati megafoni del potere liberal-globalista ci hanno annoiato, ripetendo fino allo sfinimento che la vera cartina di tornasole non sarebbe stata la percentuale di voti che Putin avrebbe ricevuto (excusatio non petita…), ma la percentuale di elettori che avrebbe risposto alla chiamata alle urne.

Ebbene, l’attuale e futuro presidente della Federazione russa non solo è stato rieletto con l’87,5 per cento dei favori, ma la percentuale di cittadini che si è recata alle urne ha toccato un record storico, che i Paesi occidentali – Svizzera in primis – possono solo contemplare in cartolina: l’affluenza è stata infatti del 73,33 per cento (oltre 110 milioni di elettori), a cui va peraltro aggiunto il voto espresso online.

Le prefiche che nel nostro Paese (quello che sequestra per alcune ore un giovane politico austriaco definito di “estrema destra”, impedendogli di parlare ad un’assemblea pubblica), nell’Unione europea e negli USA ora si stracciano le vesti perché avrebbero voluto che la Russia tornasse ad essere un’appendice dell’Occidente di eltsiniana memoria e un avamposto dell’imperialismo di stampo statunitense, non si danno pace. Non si capacitano del fatto che la Federazione del Paese più grande al mondo non si concepisca come un fedele vassallo dell’agenda mondialista e globalista, e si ostini a non interpretare il ruolo di esecutore di una tavola di disvalori da far tremare i polsi.

Cianciano di brogli. Di censura. Di pressioni. Di mancanza di confronto e di libertà di stampa.

Prove?

Nessuna.

Anzi, ci permettiamo di far presente che se i candidati alle presidenziali russe sono stati quattro, in USA saranno, e sono sempre stati, due. E in America si tratta di elezioni così libere che, dal primo presidente della storia degli USA sino ai giorni nostri, non c’è mai stato un solo presidente che non fosse plurimilionario. Giusto per capire come, Oltreoceano, le possibilità siano date a tutti i cittadini.

Per quanto riguarda presunte censure, brogli e indebite pressioni russe, quello che è capitato quattro anni fa, con il confronto tra Joe Biden e Donald Trump, ci racconta una storia pietosa. E il fatto che, a novembre, la sfida tra i due candidati delle presidenziali americane avrà luogo con un inquilino della Casa Bianca palesemente affetto da demenza senile, la dicono lunga sulla qualità e sulle prospettive della democrazia americana. Ma, soprattutto, su chi governa realmente.

I finanziatori e gli ispiratori di ogni guerra che infesta il mondo – a cominciare da quella che vede protagonista il regime sionista, impegnato nel perseguimento del genocidio del popolo palestinese – i paladini della libertà di stampa e di opinione – quelli che stanno affogando in un mare di silenzio il destino di Julian Assange, rinchiuso da anni in gattabuia per aver rivelato al mondo notizie compromettenti per i paladini della “democrazia” – e gli architetti dell’Agenda 2030 – gli individui che vogliono far evaporare le nazioni e le identità etniche, imporre i “genitore uno e genitore due” ed affogare tutto e tutti in una poltiglia senza anima né prospettive, se non quelle di riempirsi lo stomaco e svuotare gli orifizi, si mettano il cuore in pace.

La Santa Madre Russia non si piegherà.

Non sarebbe una cattiva idea se l’Occidente si sforzasse di cercare interlocutori con cui dialogare. E non lacchè.

 

 

FRATRIA ha il piacere di annunciare che, tra alcuni giorni, uscirà "L' Antipapa - Il primo decennio di un apostata sul soglio di Pietro -", libro scritto dal giornalista Corrado Galimberti (prefazione di Diego Fusaro, Arca Edizioni, pagg. 342), peraltro membro del comitato della nostra associazione. 

Il librò verrà presentato domenica 7 aprile 2024 alle ore 17:00 presso l'Osteria Teatro Unione, a Riva San Vitale. Moderatore sarà il filosofo e saggista Diego Fusaro  

Da quando sul soglio di Pietro siede Jorge Mario Bergoglio, la desacralizzazione della società, l’espulsione di Dio da ogni ambito privato e pubblico, il relativismo più assoluto, il materialismo più spinto e l’edonismo elevato a valore, hanno subito un’impennata senza precedenti. 

Il libro è rivolto non solo a chi, credente, si sente disorientato dal modus operandi dell’uomo noto in arte come “papa Francesco”, ma anche a chi sta assistendo, impotente, all’edificazione di un Nuovo Ordine Mondiale, di cui la Neochiesa postcattolica, sempre più simile a una comune ONG di stampo globalista, appare come un tassello fondamentale.

Dalla disamina dei primi dieci anni di “pontificato” di Bergoglio emerge un individuo platealmente rozzo, facilmente irritabile, terribilmente vendicativo e di scarsissimo spessore culturale, che da una parte deve la sua elezione all’incessante lavoro di quella che uno dei suoi stessi membri ha definito “mafia di San Gallo”. Dall’altra, al coinvolgimento diretto dei poteri forti. Governo statunitense in primis.

Da “Gesù fa un po’ lo scemo” ed “è uno sporco” al “Ci vedremo forse all’inferno” con cui ha concluso una telefonata con una fedele; dal wiskey che “è la vera acqua santa”, all’intronizzazione di divinità pagane in Vaticano; da Dio che perdona anche in mancanza di pentimento, alla negazione dell’esistenza dell’Inferno; dalle anime che si dissolvono nel nulla, al definire “vero delinquente” il sacerdote che non concede l’assoluzione; dalle chiese chiuse in obbedienza alle disposizioni pandemiche, alla sponsorizzazione di un vaccino preparato con linee cellulari di feti abortiti; dalle plateali offese al clero, all’esaltazione del ruolo dei laici; dal disprezzo nei confronti di papa Benedetto XVI, all’allontanamento, rimozione, scomunica e riduzione allo stato laicale di decine di vescovi e sacerdoti ritenuti “rigidi” e “indietristi; dall’accoglienza verso “todos todos todos”, all’esclusione di monaci e suore fedeli alla Tradizione; dalla comunione ai divorziati risposati, alla benedizione delle coppie dello stesso sesso; dall’ecumenismo più spinto al sincretismo più becero; dalla condivisione dell’Agenda 2030 stilata dall’ONU, all’accettazione acritica dell’ambientalismo integrale, il libro si sforza di raccontare il percorso di un uomo che ha bandito il sacro dalle nostre vite e ha relegato il Divino a orpello del passato. Non più verità immutabile, ma realtà soggettiva.

 

 

 

Aleksej Navalnyj e Julian Assange:
l'etica e la morale a geometria variabile

29 febbraio 2024

All’ipocrisia dell’Occidente si potrebbe erigere un monumento. 

Mentre le prefiche politicamente corrette versano fiumi d’inchiostro e piangono la morte del dissidente russo Aleksej Navalnyj – un uomo che, lungi dall’essere un idealista senza macchia e senza paura, era una banderuola tra le più svolazzanti –, a un giornalista australiano che ha semplicemente fatto il suo lavoro, e rischia grosso, la stampa cicisbea sta riservando solo qualche riga (sempre che non ci sia la rottura di qualche fidanzamento nel mondo dello spettacolo, cui dare la precedenza).
Nei prossimi giorni, Julian Assange, ospite di una prigione di massima sicurezza nei pressi di Londra da quasi cinque anni dopo essere rimasto segregato, per altri sette, nell’ambasciata ecuadoregna della capitale britannica, potrebbe venire estradato negli Stati Uniti. Paese in cui rischia svariati ergastoli per un totale di 175 anni di prigione. 
O una punturina. 
Risolutiva.  
Come sanno ormai anche i paracarri, Julian Assange è “colpevole” di aver pubblicato notizie – vere - sulla piattaforma Wikileaks,  che l’analista di intelligence militare degli USA, Bradley Manning, gli aveva passato.
De facto, ha semplicemente seguito le indicazioni e gli insegnamenti contenuti nei manuali di giornalismo (ammesso ce ne siano ancora in circolazione e non siano stati sostituiti da testi finanziariamente più redditizi e politicamente più utili).
Ha ricevuto informazioni molto interessanti. 
Le ha verificate. 
Le ha ritenute di interesse pubblico. 
Le ha pubblicate.
Un tempo si usava fare così.
Oggi, non più.
A sua volta, l’ormai ex soldato Manning è stato arrestato, condannato e imprigionato per sette anni in condizioni definite dai suoi avvocati “lesive dei diritti umani”. È stato poi graziato dal presidente Barack Obama e, successivamente, è finito nuovamente dietro le sbarre, per un altro anno, per essersi rifiutato di testimoniare contro Wikileaks.
Julian Assange ha insomma fatto quello che qualsiasi giornalista degno di questo nome dovrebbe fare, senza neanche pensarci una frazione di secondo. Ma da quando i giornalisti si sono trasformati da cani da guardia del potere, in cani da riporto (con tutto il rispetto per i migliori amici dell’uomo), e la classe politica pretende servi, e non cronisti imparziali, le cose sono cambiate. 
Ci rendiamo perfettamente conto che le informazioni pubblicate grazie a Julian Assange e a Bradley Manning hanno mostrato al mondo un lato degli USA che nessuna amministrazione americana (e nessun cittadino statunitense) avrebbe voluto vedere spiattellate. Notizie sconvolgenti, su fatti altrettanto sconvolgenti, in grado di svelare un modus operandi che nulla ha a che vedere con la nozione di civiltà, pur declinata nelle sue numerose sfaccettature.
La libertà di stampa è un pilastro di qualsiasi Paese democratico. Se il pilastro viene minato, vacilla l’essenza stessa della democrazia.
Non vale solo per la Corea del Nord.
Vale per tutti.
I detrattori del giornalista australiano sostengono che Assange rischia tanto non perché ha fatto il suo dovere, ma perché si è reso colpevole di spionaggio ai danni degli sceriffi del mondo. Sceriffi che, in Europa - Svizzera compresa - possono contare pure su molti vice sceriffi, persino più ottusi degli originali.
I giudici –nei confronti dei quali, contrariamente a quanto ci viene quotidianamente inculcato dalla vulgata politicamente corretta,  non nutriamo alcuna fiducia- quasi sicuramente non si atterranno alla legge e alla deontologia professionale. Quelle si possono sempre interpretare in base a una serie infinita di variabili. Ma obbediranno a ragioni di ordine politico e geopolitico. 
I giudici sacrificheranno la verità e sposeranno quello che, in filosofia, si chiama utilitarismo. 

Sic et sempliciter.

Come dimostrano le immagini, Julian Assange è pure malato. È messo decisamente male. Ma le ragioni umanitarie vengono invocate solo per stupratori seriali di bambini, assassini di vecchiette e spacciatori di droga diversamente bianchi. 
Anche se Londra dovesse riservare un sonoro ceffone alle pretese degli ex coloni, e rifiutare l’estradizione nel paradiso della libertà, l’eccezione non farebbe che confermare la regola che si è ormai imposta in tutto il mondo occidentale. 
Un comportamento che è riprovevole e inaccettabile in Russia o in Iran, diventa automaticamente accettabile e auspicabile se osservato negli Stati Uniti. O in una delle sue numerose - e patetiche - colonie europee.
Un esempio concreto?
Nelle ore in cui Navalnyj trovava la morte (e ce ne rammarichiamo), un certo Gonzalo Lira, blogger cileno con cittadinanza americana, sposato con una cittadina ucraina, rendeva l’anima a Dio in un carcere di Kiev. Si trovava lì solo per aver criticato la marionetta preferita delle amministrazioni americana e unioneuropeista: Vladimir Zelensky.
Quanti mass media ne hanno parlato?
Quanti politici, tra quelli affranti per la morte del combattente per la libertà Navalnyj, hanno protestato?
A quante fiaccolate abbiamo assistito?

Ecco. 

A questo si sono ridotte la democrazia occidentale e quella meravigliosa e spassosissima favola della libertà di stampa e di opinione.

 

 


Le gioie di Davos: Zelensky e la "malattia X"

14 gennaio 2024

 

     Sul Forum economico di Davos, quest'anno in programma dal 15 al 19 gennaio, si è scritto e detto molto. Da quando è apparso chiaro, anche ai più recidivi, che non è semplicemente una vetrina di personalità di alto profilo del mondo politico, economico-finanziario e dell'informazione, sono scorsi fiumi di inchiostro anche da parte di chi offre un'informazione alternativa a quella ufficiale e convenzionale.
     Ormai è chiaro a tutti che, nella cittadina grigionese, assisteremo a un susseguirsi di riunioni e incontri blindati, dove verranno letteralmente pianificate le sorti del pianeta (di concerto con altre perle di democraticità come il gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale). Ma, ancor oggi, nessuno sa realmente cosa dicano, e dicidano, capi di Stato e di governo, ministri, economisti, CEO delle più importanti multinazionali del pianeta, responsabili di associazioni internazionali, blasonati giornalisti e direttori delle più (autoproclamatesi) prestigiose testate del mondo. 
     Di certo c'è che personalità molto influenti - così certe della propria reputazione, buona fede, onestà, caratura morale e sincerità da aver bisogno di cinquemila soldati del fu neutrale esercito svizzero, oltre a un imprecisato numero di poliziotti, per farsi proteggere - prenderanno coraggiose decisioni per il nostro bene.
     Quest'anno, le gioie di cui rallegrarci sono, in particolare, due. 
     La prima è la presenza in carne ed ossa, del presidente ucraino Vlodomir Zelensky. 
     La seconda è l'annuncio, passato sino ad oggi in sordina, dello scoppio di una nuova (presunta) pandemia. 
     Le derive atlantiste del nostro Paese, gli ammiccamenti alla NATO e l'evaporazione della neutralità elvetica sono ormai di una chiarezza lapalissiana. Nonostante le patetiche prese di posizione di chi sostiene che, in realtà, la celeberrima e un tempo apprezzata neutralità svizzera non è stata neppure scalfita, l'evidenza dei fatti parla senza il bisogno di interpretazioni di sorta. 
     La nuova vulgata politicamente corretta, ampiamente diffusa da mass media trasformati da cani da guardia del potere, in cani da riporto, è che non si può rimanere indifferenti davanti ad un Paese aggredito, e uno aggressore.
     A parte il fatto che, anche su questo dettaglio ci sarebbe da discutere a lungo, è proprio questa, la neutralità.
     Spiegata per i minus habens: non si parteggia per nessuno e si mettono a disposizione i propri uffici - questo, e solo questo, significa non stare ad assistere, indifferenti - in modo tale si giunga ad una soluzione equilibrata del problema. 
     Ergo: se si invita Zelensky si deve pure invitare Putin (peraltro a capo di una potenza economica, politica e militare di ben altro spessore rispetto a una colonia degli Stati Uniti, quale l'Ucraina è). E se per il presidente russo s'invoca il tintinnar di manette, a causa del mandato di cattura internazionale, a quel punto non si invita nessuno dei due. 
     Fine della trasmissione. 
     Invece, a Davos, sventolano ovunque bandiere ucraine, s'intervistano profughi ucraini, si affiggono manifesti con la bandiera ucraina, si invitano personalità ucraine e la presenza di un uomo ormai screditato come Zelensky, con la canna del gas alla gola, al vertice di un Paese che ha già perso la guerra, nonostante ci si affanni a sostenere che i giochi sono ancora aperti, è dipinto come uno stimolante contributo per garantire al mondo pace, sicurezza, benessere e libertà. 
     Soprattutto, tanta libertà.
     Negli scorsi mesi le allucinanti prese di posizioni del consigliere federale Viola Amherd (quindi del governo svizzero) e del capo dell'esercito, Thomas Süssli, a proposito del ruolo militare della Confederazione avrebbero dovuto sollevare un acceso dibattito e un'ondata di indignazione nel Paese. È passato tutto in cavalleria perché, complici mass media compiacenti, si lascia che le decisioni avvengano nel più totale riserbo.
     A spiegare da che parte sorge il sole ci ha pensato uno storico svizzero, antisvizzero fino al midollo, la cui opinione è stata recentemente ospitata sulla rivista italiana di geopolitica Limes. 
Nell'edizione del telegiornale della RSI di domenica14 gennaio ha apertamente affermato che "la Svizzera si fa difendere dalla NATO". E cosa l'Alleanza atlantica abbia chiesto in cambio, non sono certo cioccolato e  orologi, giusto per non citare i luoghi comuni. 
     La seconda perla del Forum di Davos riguarda, come accennato una nuova, presunta, pandemia. 
     Mercoledì 17 gennaio verranno forniti maggiori dettagli in una conferenza dal rassicurante titolo: "Prepararsi alla malattia X".
     Davos avviserà il mondo che sarà necessario allinearsi alle direttive dell'OMS - alla cui sottomissione si stanno mobilitando, proprio in questi mesi, molti governi del pianeta - per far fronte ad una nuova pandemia che, secondo i noti gentiluomini che l'hanno pianificata a tavolino, potrebbe essere 20 volte più mortale del Covid. 
     Ovviamente, a gestire la situazione ci saranno le numerose, disinteressate e caritatevoli fondazioni di Bill Gates.
     Non sono interpretazioni, ma fatti, anche se i TG preferiscono soffermarsi sulle vittorie di Marco Odermatt (che Dio lo benedica) piuttosto che su temi che è meglio distillare con il contagocce.
     Il sito web ufficiale del World Economic Forum informa inoltre che il gruppo di relatori del programma "Preparing for Disease X" comprenderà il direttore generale dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il ministro della Sanità brasiliano Nisia Trindade Lima, Shyam Bishen del "Centro per la salute e l'assistenza sanitaria" e numerosi operatori sanitari di mezzo mondo. 
     Il sito del WEF avvisa altresì che "La malattia X rappresenta la consapevolezza che una grave epidemia internazionale potrebbe essere causata da un agente patogeno attualmente sconosciuto che possa causare malattie umane". 
    
Che noia. 
     Non si può neppure più parlare di complotti.
     Svelano tutto loro, alla luce del sole, pontificando da una lussuosa sala di Davos. 


      

 

Palestina, il popolo non eletto 

27 ottobre 2023

Quando, in pochi giorni, una rappresaglia falcia oltre 3000 bambini, non ci possono essere giustificazioni di sorta.
Negli infanticidi non può essere ravvisata alcuna giustificazione.
Mai.
Non esiste alcun diritto alla difesa, spiegazione plausibile, lecito obiettivo da raggiungere.
Da una parte e dall’altra della barricata.
Eppure, nel mondo, c’è un piccolo Paese, diventato Stato una manciata di anni fa grazie alle persecuzioni di cui è stato vittima il suo popolo, che può permettersi tutto quello che non è consentito a nessun altro.
Un piccolo Paese che può accusare gli altri di terrorismo, quando è nato col terrorismo. Come ci insegnano la banda Stern e l’Irgun.
Può chiedere le dimissioni di ministri stranieri, insultare capi di Stato, diffamare pontefici, quando ha avuto ministri, capi di Stato e presidenti ricercati per terrorismo. Come Menachem Begin e Yitzhak Shamir.
Può accusare di razzismo chiunque osi criticarlo, e avere “padri della Patria” che hanno pronunciato parole e concetti razzisti come pochi. Come David Ben Gurion e  Golda Meir.
Può occupare illegalmente le terre (più fertili) di un altro popolo, creando colonie armate fino ai denti, e accusare gli altri di illegalità.
Può subire decine di condanne dalla comunità internazionale, non rispettarne una e non solo farla franca, ma pretendere che poi, la stessa comunità di cui si fa beffe, solidarizzi con il persecutore e non con il perseguitato.
Può far vivere stipati in pochi chilometri quadrati milioni di persone, accatastate come fascine di legna, a cui vengono concessi col contagocce acqua potabile, elettricità e i più elementari servi igienici, e pretendere che quelle stesse persone crescano in un clima di tolleranza per chi li affama e li asseta.
Quel Paese può definirsi - a livello costituzionale - “Stato nazionale degli ebrei” e chiedere lealtà a chi in quel Paese ci vive da generazioni, ma ebreo non è.
Di fronte allo scempio dei bimbi straziati, a interi quartieri rasi al suolo, a decenni di soprusi, violenze, atti illegali e persecuzioni, spiace costatare che la comunità internazionale – Svizzera compresa - non solo non morda, ma abbia timore persino di abbaiare. E, anzi, miagoli, balbettando insignificanti e patetici appelli quando, nei confronti di un intero popolo, è in atto una politica di genocidio.  
Tra quel popolo ci sono musulmani, cristiani e atei.
Tutti colpevoli.
Di esistere.
Ovviamente, quando si parla di Terra Santa, le considerazioni politiche, geopolitiche, storiche ed economiche vanno analizzate con dovizia di particolari. Ma non può essere taciuto, come invece fanno tutti, il fatto che Israele fa quello che fa perché spinto da motivazioni che chi non crede nel Trascendente fatica a comprendere.
Le politiche dei numerosi governi israeliani che si sono succeduti dal 1948 ad oggi hanno una missione messianica e una visione escatologiche che li guida e li spinge a schiacciare chiunque ostacoli piani che non sono contemplati dalle dottrine militari e dalle scienze politiche.
Per capirlo sarebbe sufficiente che i mass media analizzassero il programma dei partiti che compongono oggi il governo guidato da uno psicopatico assetato di sangue e quello dei governi precedenti.
Fino a quando Israele non sarà trattato come un Paese come tutti gli altri, e ai suoi leader politici e partiti non saranno applicati gli stessi standard che si applicano a tutti gli altri, non se ne uscirà.
E la Palestina continuerà a grondare sangue, fino a quando la vendetta che cova da tempi immemori non avrà raggiunto il suo obiettivo.

 

 

 

La Svizzera é incompatibile con la NATO

3 settembre 2023

Dopo le recenti notizie sul modus operandi della RUAG -società di proprietà della Confederazione elvetica, e, pertanto, di tutti i cittadini svizzeri-, le considerazioni esternate dal capo dell'esercito, Thomas Süssli, e gli obiettivi, ormai conclamati, di alcuni partiti di governo (a cominciare dal Partito liberale) a proposito di una collaborazione del nostro Paese con la NATO, Fratria ritiene che la Svizzera si stia confrontando con una situazione di una gravità inaudita, che non è eccessivo definire di stampo eversivo. 
Di fronte alle dichiarazioni di chi si ostina a considerare neutrale il nostro Paese, nonostante le palesi e ripetute violazioni di una caratteristica che ci ha garantito secoli di pace e stabilità, non rimane che chiedere con fermezza una presa di posizione chiara e univoca da parte di tutti, sul ruolo della Confederazione.
L'indagine chiesta lunedì 21 agosto dal Consigliere federale Viola Amherd sulla RUAG non solo giunge fuori tempo massimo, ma fa emergere un totale (presunto) caos all'interno del Dipartimento della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS), dove la lobby favorevole all'Alleanza atlantica appare sempre più aggressiva.
Spiace constatare che la signora Amherd sia parte del problema, dal momento che, lo scorso 22 marzo è stata lei, in un incontro con il segretario generale della NATO, Stoltenberg, ad auspicare apertis verbis, un rafforzamento della collaborazione tra Berna e l'Alleanza atlantica. E ciò non è accettabile.
Prima le scandalose parole dell'allora dirigente di RUAG, Brigitte Beck, poi quelle del suo presidente, Nicolas Perrin, infine le considerazioni del capo dell'esercito, Thomas Süssli, dimostrano che la situazione è fuori controllo.
Il Consiglio federale e il parlamento devono prendere atto che non solo l'adesione, ma anche qualsiasi tipo di collaborazione con la NATO è incompatibile con la neutralità e inaccettabile sotto qualsiasi punto di vista, finanche quello morale.
Infine, si prenda atto dell'ovvio: oggi, l'Alleanza atlantica (quindi gli USA) è una realtà militare che sta operando a scopo offensivo, non difensivo. La Svizzera non può permettersi di essere coinvolta in alcuna guerra, fosse anche quella santa. 
Se la signora Beck è stata costretta alle dimissioni, non si vede perché questo non debba essere il destino anche per i signori Perrin e Süssli. E se la signora Amherd, oltre alle simpatie atlantiche già esternate, non ha più il controllo della situazione del suo dipartimento, prenda atto della propria debolezza politica e tragga le dovute conclusioni.
Qui non si tratta di opinioni e simpatie a favore degli Stati Uniti e delle loro colonie in Europa o della Federazione russa (perché di questo stiamo fondamentalmente parlando). Si tratta del rispetto che tutti i cittadini svizzeri - dirigenti e politici in primis - sono tenuti a mostrare verso la neutralità, principio ancorato nella Costituzione elvetica e che, sarà bene sottolinearlo, è garantita pure giuridicamente a livello internazionale

 

Il tradimento 

8 Maggio 2023

Il processo di smantellamento della neutralità svizzera in atto, in realtà, da quando elicotteri britannici furono filmati in Vallese mentre si esercitavano in vista dell'invasione dell'Afghanistan da parte degli USA e della Gran Bretagna, nel 2001, è giunto dunque a compimento. Il presidente ucraino Zelensky terrà un discorso all'Assemblea federale durante la sessione estiva. 

Fratria condanna nel modo più fermo le patetiche contorsioni di chi sta apertamente violando la Costituzione elvetica, l'atteggiamento genuflessorio di mass media che, da "cani da guardia del potere" sono diventati cani da riporto, i novelli camerieri della NATO - a cominciare dal PLR, passando per il Centro, sino a toccare le irraggiungibili vette dei falsi ambientalisti - e, last but not least (la neolingua del padrone è ormai d'obbligo), i vertici di quello che è diventato un esercito da operetta.

La Svizzera non vedrà mai più, come accaduto nel 1985, iniziative come il "Vertice di Ginevra" tra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov. Non sarà mai più il tavolo privilegiato di incontri, trattative e piani per cercare di garantire al mondo pace e prosperità.

Non è più un Paese neutrale.
Non è più super partes.
Non è più un Paese affidabile per gli attori dello scacchiere internazionale.

I responsabili dell'evaporazione di una delle caratteristiche più conosciute e apprezzate del nostro Paese hanno nomi e cognomi. Sui loro sporchi interessi e le loro reali intenzioni preferiamo glissare.

La palla passa ora ai cittadini: firmare l'iniziativa per la neutralità è un dovere civico di ogni svizzero degno di questo nome. 
 

>>> Iniziativa di neutralità - Pro Svizzera <<<


FRATRIA

LO STORICO DEGLI EVENTI 

  • 10.06.2019     DUGIN Aleksandr, filosofo e politologo
  • 04.10.2019     CHIESA Giulietto, giornalista, saggista e politico 
  • 17.10.2020     FUSARO Diego, filosofo, saggista e opinionista
  • 18.03.2023     FRANZ Emanuele, filosofo e saggista
  • 11.11.2023      VAJ Stefano, saggista e giornalista
  • 11.11.2023      CATTANEO Ada, filosofa e saggista
  • 07.04.2024     GALIMBERTI Corrado, giornalista e saggista
  • 14.04.2024     SAVOINI Gianluca, politico e giornalista 
  • 21.04.2024     MATHLOUTHI Paolo, storico e editorialista
  • 13.09.2024     FUSARO Diego, filosofo, saggista e opinionista

LO ZAR ALESSANDRO I

Il padre del Simbolismo russo

21 aprile 2024

Germogliata dalla fantasia titanica ed immaginifica di Dmtrij Sergeevic Merezkovskij (1865 - 1941), padre riconosciuto del Simbolismo russo, torna in libreria, per i tipi della casa editrice milanese Iduna , l'avvincente biografia in forma di romanzo dello Zar Alessandro I Romanov. Incrociate le armi a Borodino contro le truppe di Napoleone, non ha frapposto indugi nel dare alle fiamme Mosca, la città sacra dell' Ortodossia sede del Patriarcato, la Terza Roma erede diretta di Bisanzio dove gli Zar ricevono da tempo immemorabile la loro solenne investitura, pur di tagliare i rifornimenti all' odiato avversario e consegnarlo così all' inesorabile stretta del generale inverno. Allora come oggi una coalizione di Stati stranieri ha cercato invano di avere ragione della Russia e le parole pronunciate da Alessandro I alla vigilia del rogo fatale suonano più che mai come monito per gli odierni epigoni di Bonaparte che non sembrano aver fatto tesoro di quell' evento drammatico: "Ogni passo che il nemico compie verso la Russia lo avvicina maggiormente all'Abisso. Mosca rinascerà dalle sue ceneri e il sentimento della vendetta sarà la fonte della nostra gloria e della nostra grandezza".
 

DA PONTIDA AL METROPOL

La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega

14 aprile 2024

"All'epoca della vicenda Metropol la Lega dava pesantemente fastidio perché prendeva il 34 per cento alle Europee. Come dire: facevano paura. È per quello che iniziarono a chiamarci sovranisti". La vicenda dell'incontro all'Hotel di Mosca tra deputati russi ed emissari della Lega fu: "Una gigantesca montatura. Noi eravamo in Russia perché volevamo aiutare gli imprenditori italiani che vogliono investire lì. Pensate: per quella vicenda siamo finiti sotto la lente di vari servizi segreti. Ricevevo strane email. Mi rubarono addirittura il telefonino. E la Lega era nel mirino di tutti". Parla Gianluca Savoini, l'uomo del Metropol, leghista, al centro di un'inchiesta prima giornalistica poi giudiziaria. Finita con un nulla di fatto: ovvero un'archiviazione disposta dalla procura di Milano quasi un anno fa. Parla a ruota libera nel corso della presentazione del suo libro. Lo fa nel salone del Teatro Unione di Riva San Vitale (Svizzera). L'Ucraina? "Kiev non vince, anzi ha già perso la guerra". Il nuovo ordine mondiale? "La storia si è messa in moto. L'ordine mondiale che abbiamo conosciuto è finito. Quel mondo lì è al capolinea". Il modello americano? "Il mondialismo imposto dai Gendarmi del Mondo è ciò che già la Lega di Bossi stava combattendo. Noi eravamo per le identità". E ancora: "Questo modello americano che ci appiattisce e rende tutti uguali, che ci fa consumare tutti le stesse cose, si basa soltanto sul mercato. Non tiene conto delle differenze". L'Europa? "Invece di difendere le diversità dei popoli è stata schiacciata dagli americani. E punta soltanto sulla moneta". Navalny? "Michiedo perchè nessuno difende Assange. Ma di Navalny tutti ne parlavano". Sconfitta l'Ucraina, Putin aggredirà un altro stato europeo? La replica è secca: "Questa è una frottola che ci propinano in continuazione. L'occidente ha sempre preso in giro Putin. Lo ha ammesso anche la Merkel e Hollande. E io mi chiedo: ma come fa Putin a fidarsi ancora dell'occidente". 

L'interessante serata si conclude con un'eloquente citazione dall'autobiografia del fondatore della Trilateral, David Rockefeller: "C'è perfino qualcuno, convinto della nostra appartenenza ad una setta segreta che opera contro li interessi degli Stati Uniti, che addossa alla mia famiglia e a me l'etichetta di 'internazionalisti', accusandoci di cospirare con altre figure, disseminate per il mondo, nell'intento di costruire una struttura politico economica globale più integrata, un mondo unico, se si vuole. Se questo è il delitto che mi si imputa, mi dichiaro colpevole e ne vado fiero". 
Da "La mia Vita" Mondadori, 2002

 

 

DA PONTIDA AL METROPOL

La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega

14 aprile 2024

"All'epoca della vicenda Metropol la Lega dava pesantemente fastidio perché prendeva il 34 per cento alle Europee. Come dire: facevano paura. È per quello che iniziarono a chiamarci sovranisti". La vicenda dell'incontro all'Hotel di Mosca tra deputati russi ed emissari della Lega fu: "Una gigantesca montatura. Noi eravamo in Russia perché volevamo aiutare gli imprenditori italiani che vogliono investire lì. Pensate: per quella vicenda siamo finiti sotto la lente di vari servizi segreti. Ricevevo strane email. Mi rubarono addirittura il telefonino. E la Lega era nel mirino di tutti". Parla Gianluca Savoini, l'uomo del Metropol, leghista, al centro di un'inchiesta prima giornalistica poi giudiziaria. Finita con un nulla di fatto: ovvero un'archiviazione disposta dalla procura di Milano quasi un anno fa. Parla a ruota libera nel corso della presentazione del suo libro. Lo fa nel salone del Teatro Unione di Riva San Vitale (Svizzera). L'Ucraina? "Kiev non vince, anzi ha già perso la guerra". Il nuovo ordine mondiale? "La storia si è messa in moto. L'ordine mondiale che abbiamo conosciuto è finito. Quel mondo lì è al capolinea". Il modello americano? "Il mondialismo imposto dai Gendarmi del Mondo è ciò che già la Lega di Bossi stava combattendo. Noi eravamo per le identità". E ancora: "Questo modello americano che ci appiattisce e rende tutti uguali, che ci fa consumare tutti le stesse cose, si basa soltanto sul mercato. Non tiene conto delle differenze". L'Europa? "Invece di difendere le diversità dei popoli è stata schiacciata dagli americani. E punta soltanto sulla moneta". Navalny? "Michiedo perchè nessuno difende Assange. Ma di Navalny tutti ne parlavano". Sconfitta l'Ucraina, Putin aggredirà un altro stato europeo? La replica è secca: "Questa è una frottola che ci propinano in continuazione. L'occidente ha sempre preso in giro Putin. Lo ha ammesso anche la Merkel e Hollande. E io mi chiedo: ma come fa Putin a fidarsi ancora dell'occidente". 

L'interessante serata si conclude con un'eloquente citazione dall'autobiografia del fondatore della Trilateral, David Rockefeller: "C'è perfino qualcuno, convinto della nostra appartenenza ad una setta segreta che opera contro li interessi degli Stati Uniti, che addossa alla mia famiglia e a me l'etichetta di 'internazionalisti', accusandoci di cospirare con altre figure, disseminate per il mondo, nell'intento di costruire una struttura politico economica globale più integrata, un mondo unico, se si vuole. Se questo è il delitto che mi si imputa, mi dichiaro colpevole e ne vado fiero". 
Da "La mia Vita" Mondadori, 2002

 

 

L'ANTIPAPA - IL PRIMO DECENNIO DI UN APOSTATA SUL SOGLIO DI PIETRO

7 aprile 2024

Un anti-papa eretico

di Diego Fusaro        

         Il libro che il lettore si accinge a leggere esprime una tesi forte e documentata: Jorge Mario Bergoglio, noto in arte come “Papa Francesco”, esprime tesi platealmente incompatibili con il depositum fidei, in non rari casi sconfinanti nell’eresia. Esse vengono discusse puntualmente, in riferimento tanto ai testi “dottrinari” ufficiali, quanto a interventi “occasionali” e ad ardite “sortite” della vita quotidiana.

         Corrado Galimberti, con la sua “cassetta degli attrezzi” di giornalista ricco di esperienza, ricostruisce con cura alcuni dei passaggi fondamentali da cui si evince in maniera inconfutabile l’inconciliabilità del messaggio cristiano con le posizioni espresse e rivendicate da Bergoglio.

         Il testo – per scelta – non si occupa dell’altra questione, non meno rilevante, inerente alla “invalidità” delle sue elezioni nel 2013: questione che – non risolvibile nella prima – è stata magistralmente affrontata da Andrea Cionci in Codice Ratzinger e che io stesso ho ripreso nel mio studio La fine del cristianesimo. Dall’unione delle due questioni – incompatibilità con il depositum fidei e illegittimità dell’elezione – si evince che, con Bergoglio, ci troviamo al cospetto di un anti-papa dalle posizioni inconciliabili con la dottrina cattolica. Le due questioni – come ricordavo – non coincidono e non possono essere sovrapposte: la storia ha conosciuto sia figure di anti-papi perfettamente “ortodossi” rispetto al depositum fidei, sia figure di papi “eretici” rispetto al dogma cristiano. Più rari, in effetti, sono i profili degli anti-papi eretici. Ed è in questa prospettiva che deve essere interpretata la figura di Bergoglio.

         Galimberti, come ricordavo, ha scelto di limitare la propria documentata indagine alla prima questione, relativa appunto all’incompatibilità di Bergoglio rispetto alla lettera e allo spirito del la Chiesa di Roma. È una legittima scelta di campo, data l’indipendenza – sul piano strettamente teorico – delle due questioni.

         Se Ratzinger ha incarnato il “vecchio” cristianesimo, di cui la civiltà dei consumi non aveva più alcun bisogno e al quale anzi già da tempo aveva dichiarato guerra, Bergoglio rappresenta quello “nuovo”, teologicamente corretto, di fatto indistinguibile dalla Weltanschauungconsumista e permissiva propria della società dei mercati.

         Detto altrimenti, Ratzinger rappresentava l’estrema sopravvivenza del cristianesimo in un mondo che già aveva preteso di liquidarlo inappellabilmente, mentre Bergoglio incarna il nuovo spirito di una Chiesa post-cristiana, neo-progressista e indistinguibile da una delle tante “agenzie” del mundus e per il mundus.

         Ratzinger provava a frenare e a contrastare quella potenza che, per converso, è favorita e propiziata da Bergoglio e dal suo teologizzare col martello. Variando la formula di Nietzsche, Bergoglio fa davvero teologia col martello, dacché decostruisce uno dopo l’altro i cardini della tradizione, i capisaldi del pensiero teologico occidentale e il depositum fidei del cristianesimo. La sua è, au fond, una “non-teologia” o, se si preferisce, un’“anti-teologia” che, di fatto, “svuota” la teologia nel nome della presunta esigenza di “aggiornarla” e di renderla all’altezza della contemporaneità (come se, cristianamente, si potesse “aggiornare la parola di Dio”!).

         Con l’astratto obiettivo dichiarato di una “difesa” della teologia, “papa” Bergoglio produce concretamente la sua decostruzione. E, per questa via, favorendo l’evaporazione del cristianesimo che pure vorrebbe idealmente contrastare, ottiene il medesimo risultato a cui portano le tendenze sdivinizzanti della civiltà merciforme del nichilismo, vale a dire la liquidazione di ogni teologia e, più in generale, di ogni apertura alla trascendenza, a beneficio della fede nella “certezza sensibile” e nella scienza come unica forma di fede consentita.

         Con le grammatiche de La morte di Dio di Vahanian, la nostra era diviene, così, postcristiana sia culturalmente, sia teologicamente. Senza esagerazioni, l’umanitarismo deteologizzato e per “anime belle” di Bergoglio – la nuova figura del “batticuore per l’umanità”, avrebbe chiosato lo Hegel – finiva per porsi sempre più palesemente come una semplice variante di quella Sinistra fucsia e arcobalenica del Costume che, nel quadro dei reali rapporti di forza, svolgeva stabilmente, ormai da tempo, il ruolo di fedele guardia ideologica della Destra finanziaria e globalista del Danaro. Tutti i desiderata di quest’ultima, volti a garantirne il dominio su scala cosmopolitica, finivano, infatti, per essere legittimati sul piano culturale, politico e ora anche religioso dal fronte unito dell’arcobaleno, del quale, dal 2013, anche la neo-chiesa smart era parte integrante.

         La sinistra fucsia e neoliberista, precipitato inglorioso dell’evaporazione del comunismo storico novecentesco, finiva così per fondersi – quanto a contenuti e a ruolo “ancillare” rispetto all’ordine mercatista – con il nuovo cristianesimo postmoderno e deteologizzato di “papa” Bergoglio, esito ultimo dell’evaporazione del cristianesimo e della sua riduzione a discorso di accompagnamento per la globalizzazione infelice.

La profezia di Salò di Pasolini poteva ora dirsi compiuta: la civiltà nichilista dei consumi era riuscita ad avere la meglio sui suoi due rivali più pericolosi, sul comunismo e sul cristianesimo. Con il primo, i conti poteva dirsi ormai chiusi fin dal 1989, con l’implosione del Weltdualismus, rimasto sepolto sotto le macerie del Muro, e con la ridefinizione metamorfico-kafkiana della new left anticomunista e ultraliberista in semplice forza di completamento del rapporto di forza capitalistico in fase di incontenibile espansione planetaria.

Con il cristianesimo, l’asperrima sfida – principiata fin dai tempi del Concilio Vaticano II – pareva solo ora conclusa, con la “sconfitta” di Ratzinger e con l’avvento di Bergoglio, dunque con la rimodulazione del cristianesimo stesso in giustificazione pressoché integrale del nihil del cosmo merciforme: più precisamente, il cristianesimo era evaporato, senza lasciare tracce del sacro e del trascendente, e quello che veniva ancora etichettato con il nome di “cristiano” – proprio come con il nome di “sinistra” – altro non era se non il discorso unico della globalizzazione capitalistica, vuoi anche la legittimazione superstrutturale della brutalità realmente data dei rapporti di forza.

Il nichilismo relativista della civiltà dei consumi trovava ora, nella neo-chiesa di Bergoglio, una propria inedita centrale di diffusione con una forma che, all’apparenza, conservava il messaggio cristiano e che, concretamente, lo neutralizzava. Proprio in questo risiede il “teologicamente corretto” di Bergoglio, variante sub specie theologiae del “politicamente corretto” di completamento dei rapporti di forza del turbocapitalismo globalizzato. Von Bergoglio, la voce del “papa” diviene, in tal guisa, una delle tante che – tutte egualmente organiche al novus ordo mundi – popolano il crepitio del villaggio globale e il suo monologo fintamente pluralistico, ove tutti i punti di vista e le prospettive non sono che variazioni del messaggio unico infinitamente frammentato.

Come ho provato a mostrare in La fine del cristianesimo e come anche Galimberti lascia efficacemente trasparire, il tentativo odierno del cristianesimo di sopravvivere scendendo a patti con la civiltà dei consumi e con l’ateismo liberal-nichilista, assimilandone il lessico e la visione generale, produce, in ultima istanza, non già la sopravvivenza del cristianesimo, ma la sua dissoluzione. Aprendosi al mondo, il cristianesimo non lo conquista, ma ne viene conquistato e, infine, annichilito. Non rende cristiano il mondo sdivinizzato, ma rende mondano e sdivinizzato il cristianesimo stesso.

È anche per questo che oggi, nell’era della profanazione universale, il buon consumatore appare per la prima volta indistinguibile dal buon cristiano e dalla sua fede low cost. Proprio come indistinguibili tendono a farsi i discorsi della fabbrica pubblicitaria della società dello spettacolo da quelli, “teologicamente corretti”, di “papa” Bergoglio, sempre più dedicati a questioni mondane e disabitati da ogni profondo e non solo metaforico richiamo al sacro e alla trascendenza, all’eterno e al destino dell’uomo post mortem. Galimberti li analizza in modo approfondito, esibendone le intime contraddizioni.

Variando la formula di Benedetto Croce, il mondo contemporaneo non può e non vuole dirsi cristiano. Chiede, anzi, al cristianesimo stesso la propria rinunzia a sé per poter essere ancora accettato in una forma portata all’altezza dei tempi, cioè despiritualizzata e deteologizzata, a tratti indistinguibile dalle molteplici voci che animano il dibattito idealmente pluralistico e realmente monologico dell’industria culturale.

Come già evidenziato, la globocrazia mercatista accetta il cristianesimo, solo se esso rinunzia a se stesso e si fa o irrilevante credo individuale tra i tanti disponibili nel gran bazar postmoderno delle fedi per individui isolati o – preferibilmente – semplice avamposto ideologico che propaga e legittima l’ordine simbolico coessenziale al nihil della civiltà tecnomorfa. Così e non altrimenti si spiega l’incontenibile successo mediatico di Bergoglio, beniamino degli stessi media che sempre avevano avversato Ratzinger in ogni modo.

Leggendo il ricco e puntuale libro di Galimberti, il lettore potrà approfondire con cura gli snodi decisivi della “teologia del nulla” di Bergoglio e della sua religione woodstockiana, chiusa alla trascendenza e tutta rivolta al mundus.


Il transumanesimo che taglia le stelle
18 marzo 2023

 

 

All’orecchio questa notte mi hai detto due parole / comuni. Due parole stanche / di essere dette. Parole / che da vecchie si son fatte nuove. / Così dolci e così belle / si muovono verso il cielo imitando una forbice. / Vorrebbero le mie dita / tagliare stelle. (Alfonsina Storni)

Cos’è il transumano? Il post umano? È colui che aspira al più che umano e trascende i limiti della condizione umana per assurgere al divino, una corrente culturale particolarmente diffusa nel territorio (oggi così di moda per le salite e le vorticose cadute – guarda caso – della Silicon Valley). Aspira a che l’uomo non sia più un semplice soggetto passivo dell’evoluzione stessa, ma ne diventi artefice e ne veicoli la direzione, intervenendo sul progresso tecnologico grazie a scienza, biologia, digitale, ingegneria genetica ed intelligenza artificiale accoppiata all’uomo. Da Homo sapiens ora si punta all’Homo Deus e Cyber, secondo il pensiero di Noah Harari in una nuova era post darwiniana.

Su questo tema si è svolto un interessante e animato dibattito promosso da Fratria all’Osteria Teatro Unione di Riva San Vitale, con la partecipazione del filosofo friulano Emanuele Franz, autore di numerosi libri quali Umiliazione, La generazione inversa, Sottomissione, Io nego, L’inganno della libertà e molti altri che hanno raccolto la simpatia e l’incoraggiamento di personaggi come Mario Vargas Llosa, Marcello Veneziani, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Cacciari e altri.

In fondo l’uomo è solo all’inizio della sua evoluzione storica e ancora oggi siamo appena all’adolescenza della sua futura evoluzione.

Cos’è l’uomo oltre ad essere l’unico animale capace di guardare il sole e il cielo? Parmenide è il primo filosofo del pensiero occidentale e tuttavia nel pensiero greco c’è sempre un limite nel “conosci te stesso”. Se lo superi, incontri la hybris, la violenza (pensiamo alle ali di Icaro o Prometeo). Questo percorre tutta la storia dell’umanità. Citiamo ancora il Golem, un ominide, non ancora in controllo di una civiltà tecnologica, un gigante d’argilla che non possiede ancora l’anima.

O al Paracelso, il medico visionario di fine 1400. Tutti interpretano il corpo come “qualcosa di meno”, osserva Emanuele Franz. Come Nietzsche che aspira al super uomo: il male è la materia. Filosofie manichee anche nel neoplatonismo, nel pensiero di Cartesio, dei Rosacroce, le associazioni mistico, esoteriche, cabalistiche che disprezzano sofie ereditate dai Persiani che tendono a sopprimere la vita nel nome della buona morte, quanto oggi l’agenda di Davos. Perché in fondo si crede in un Dio malvagio, mentre Cristo è solo un fantasma o un robot.

Ma non aderisco a questa visione solo perché è scandalo per i pagani che un Dio muoia, dice Franz. Il fatto carnale, l’incarnazione e la resurrezione sono il fondamento dell’esser cristiani. Eppure mi piace la tecnologia: l’uomo l’ha creata, ma oggi non si parla più di spirito quanto di digitale. Si ignora che l’amore sia la cosa più universale, tremenda e misteriosa delle forze cosmiche. Esso ci innalza alla sfera celeste ove inizia il processo di unificazione e totalizzazione dell’individuo: tutto si totalizza senza spersonalizzare. Qui c’è posto per ciascuno nel nome di una umanità mai impersonale. Ove la Chiesa stessa, la gente, è corpo di Cristo.

Corrado Bianchi Porro

In immagine Roger Etter, presidente di FRATRIA, il relatore della serata, il filosofo Emanuele Franz, e il gradito ospite avvocato Stefano Sutti, segretario dell'Associazione Italiana Transumanisti

Il transumanesimo che taglia le stelle
18 marzo 2023

 

 

All’orecchio questa notte mi hai detto due parole / comuni. Due parole stanche / di essere dette. Parole / che da vecchie si son fatte nuove. / Così dolci e così belle / si muovono verso il cielo imitando una forbice. / Vorrebbero le mie dita / tagliare stelle. (Alfonsina Storni)

Cos’è il transumano? Il post umano? È colui che aspira al più che umano e trascende i limiti della condizione umana per assurgere al divino, una corrente culturale particolarmente diffusa nel territorio (oggi così di moda per le salite e le vorticose cadute – guarda caso – della Silicon Valley). Aspira a che l’uomo non sia più un semplice soggetto passivo dell’evoluzione stessa, ma ne diventi artefice e ne veicoli la direzione, intervenendo sul progresso tecnologico grazie a scienza, biologia, digitale, ingegneria genetica ed intelligenza artificiale accoppiata all’uomo. Da Homo sapiens ora si punta all’Homo Deus e Cyber, secondo il pensiero di Noah Harari in una nuova era post darwiniana.

Su questo tema si è svolto un interessante e animato dibattito promosso da Fratria all’Osteria Teatro Unione di Riva San Vitale, con la partecipazione del filosofo friulano Emanuele Franz, autore di numerosi libri quali Umiliazione, La generazione inversa, Sottomissione, Io nego, L’inganno della libertà e molti altri che hanno raccolto la simpatia e l’incoraggiamento di personaggi come Mario Vargas Llosa, Marcello Veneziani, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Cacciari e altri.

In fondo l’uomo è solo all’inizio della sua evoluzione storica e ancora oggi siamo appena all’adolescenza della sua futura evoluzione.

Cos’è l’uomo oltre ad essere l’unico animale capace di guardare il sole e il cielo? Parmenide è il primo filosofo del pensiero occidentale e tuttavia nel pensiero greco c’è sempre un limite nel “conosci te stesso”. Se lo superi, incontri la hybris, la violenza (pensiamo alle ali di Icaro o Prometeo). Questo percorre tutta la storia dell’umanità. Citiamo ancora il Golem, un ominide, non ancora in controllo di una civiltà tecnologica, un gigante d’argilla che non possiede ancora l’anima.

O al Paracelso, il medico visionario di fine 1400. Tutti interpretano il corpo come “qualcosa di meno”, osserva Emanuele Franz. Come Nietzsche che aspira al super uomo: il male è la materia. Filosofie manichee anche nel neoplatonismo, nel pensiero di Cartesio, dei Rosacroce, le associazioni mistico, esoteriche, cabalistiche che disprezzano sofie ereditate dai Persiani che tendono a sopprimere la vita nel nome della buona morte, quanto oggi l’agenda di Davos. Perché in fondo si crede in un Dio malvagio, mentre Cristo è solo un fantasma o un robot.

Ma non aderisco a questa visione solo perché è scandalo per i pagani che un Dio muoia, dice Franz. Il fatto carnale, l’incarnazione e la resurrezione sono il fondamento dell’esser cristiani. Eppure mi piace la tecnologia: l’uomo l’ha creata, ma oggi non si parla più di spirito quanto di digitale. Si ignora che l’amore sia la cosa più universale, tremenda e misteriosa delle forze cosmiche. Esso ci innalza alla sfera celeste ove inizia il processo di unificazione e totalizzazione dell’individuo: tutto si totalizza senza spersonalizzare. Qui c’è posto per ciascuno nel nome di una umanità mai impersonale. Ove la Chiesa stessa, la gente, è corpo di Cristo.

Corrado Bianchi Porro

In immagine Roger Etter, presidente di FRATRIA, il relatore della serata, il filosofo Emanuele Franz, e il gradito ospite avvocato Stefano Sutti, segretario dell'Associazione Italiana Transumanisti

Il nichilismo dell'Unione europea
Diego Fusaro con Roger Etter, presidente di Fratria
17 ottobre 2020

«Chi ha il potere non ascolta altri che sé stesso», afferma Diego Fusaro, filosofo e saggista. Il capitale oggi è ab solutus, sciolto da ogni limite residuo secondo queste tesi. A partire dal 1968, si mette persino in congedo la cultura borghese e la sua sfera valoriale (etica, culturale, familiare, religiosa), incompatibile con l’estensione illimitata della “merce”. Si tende con questo a “svirilizzare” la società con l’espropriazione della democrazia di base e del pensiero altrui in nome di una teologia mercatistica in cui di sovrano vi è solo il mercato, non la gente. Sono gli effetti perversi del Nichilismo dell’Unione Europea, secondo il titolo del libro scritto da Fusaro con Silvio Bolognini e pubblicato da Armando Editore che è stato presentato a Savosa su invito dell’Associazione Fratria presieduta da Roger Etter.

Un atto di accusa contro il turbocapitalismo che rende infelice l’uomo. «Almeno il capitalismo borghese», dice l’autore, «aveva una sua etica: Mozart, Beethoven, Marx stesso erano borghesi che avevano qualcosa da dire e interpretare essendo radicati nel loro tempo e cultura. C’era allora il proletariato, gente ricca di prole, dice la parola». Oggi c’è invece la vittoria del precariato. Si nullificano i valori borghesi della famiglia e religione in un ateismo liquido di assordante silenzio, sdivinizzando il sacro in finto interclassismo. Dov’è andato il bacio al lebbroso nella società d’oggi o l’unzione agli infermi? «Ci avete detto che i confini andavano abbattuti», commenta Fusaro, «avete predicato che il privato era meglio del pubblico, che l’UE era la nostra salvezza, lo Stato era il male e doveva essere ridotto al minimo indispensabile, che gli ospedali andavano razionalizzati e la pandemia è qui a proclamare la nudità dell’imperatore». Certo l’Europa non è il male assoluto: il modello viene da altrove, dall’americanismo consumatore onnivoro. L’epigono, il simbolo di questi tempi è la generazione Erasmus costretta all’espatrio permanente per trovare un posto di lavoro. Precario sempre e ovunque. «Altro che integrare i migranti», dice ancora l’autore, «qui si disintegrano i residenti tra pochi ricchi sempre più ricchi e sommamente apolidi ed una massa informe di gente alla ricerca della propria identità ad iniziare dal lavoro, espropriati dalla crisi e dall’emergenza». Il ’68 di cui tanto si è parlato è stato solo un tentativo di modernizzare il capitalismo, come ha scritto Pasolini. Ma perché nichilismo dell’UE? Il titolo si ispira al monumentale studio di Martin Heidegger su Nietzesche dal titolo, appunto, Der europäische Nihilismus e anche al pensiero di Adorno Il mondo nuovo è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso, non essendoci nulla da contrapporgli. Luigi Einaudi diceva che il frutto spirituale immateriale più alto dell’economia di mercato è quello di sottrarre l’economia alla politica. Così è avvenuto e i politici stessi sono espropriati ed esautorati del loro potere e non possono che conformarsi a regole definite superiori.

Corrado Bianchi Porro

Il mondo visto in controluce
4 ottobre 2019

 

Che cosa so di quel che sarò, io che non so cosa sono? / Essere ciò che penso / Ma penso di essere tante cose / e tanti pensano la stessa cosa (Alvaro de Campos)

“Con la nostra iniziativa”, ha detto Aldo Alfonso Ferrini aprendo il convegno di Fratria che si è tenuto a Lugano Paradiso, “lo scopo è di essere un puntod’incontro tra persone che hanno un pensiero laterale, aiutandoci a riflettere su quanto viene scritto ogni giorno dai media ufficiali”. Invitato speciale dopo il precedente incontro con Alexsandr Dugin è stato, al secondo incontro, Giulietto Chiesa, personaggio autorevole della politica italiana, oggi direttore di Pandora TV. Scrive l’Huffington Post che Pandora TV rappresenta “un’altra visione del mondo, un nuovo straordinario strumento di informazione collettiva, indipendente e democratica, nato per spiegare le crisi, svelare retroscena oscurate dalla stampa predominante internazionale, dare voce ai cittadini divenuti merce del mercato della comunicazione e mettere ordine nel caos del villaggio globale informativo”. La maggior parte della gente, ha commentato Giulietto Chiesa, vive in un mondo virtuale senza aver criteri per valutare ciò che accade attorno. La parola democrazia, non riveste più alcun significato, men che meno nelle società occidentali, chiamando al voto ogni quattro anni. Il vocabolario comune ha perduto il suo senso.

Democrazia significa potere del popolo, ma poi si condannano i populismi che rappresentano una rivolta della gente contro un potere non più popolare. Siamo vittime di un colossale colpo di Stato fatto non coi carri armati e fucili, ma comprando i rappresentanti del popolo. L’economia non è più capitalistica. Il Pil del pianeta si aggira intorno ai 70 trilioni di dollari (70 mila miliardi). Ma la massa complessiva di capitale esistente, reale o virtuale, è 200 volte superiore. Son denari prodotti dal nulla, dai computer, inventati dalla finanza e hanno comperato tutti. Ci hanno trasformato in merce, in enorme massa di denaro inventata dal niente in un mondo dove le attività principali sono corruzione. In caso di guerra nucleare tra USA e Cina o Russia, l’Europa sarà distrutta in un giorno e mezzo. In un sistema di risorse finite, spiega Giulietto Chiesa, lo sviluppo infinito è impossibile. Le risorse del pianeta sono limitate. La trave è stata così caricata che è ormai vicina alla rottura. Molti sostengono che la guerra sia impossibile perché distruttiva, in realtà è in atto quella ibrida con una tecnologia diversa. Siamo prigionieri della tecnologia che ha modificato il tempo delle nostre decisioni. I cellulari modificano geneticamente i nostri figli e determinano il nostro comportamento. Il progresso è dunque bene o male? Siamo all’avvio del controllo globale del cervello della popolazione del mondo. Col 5G il telefonino avrà 16 antenne, ciascuna delle quali composta da centinaia di antenne che innestano altissime frequenze e cortissime lunghezze d’onda: 5 nanometri. È la dimensione di una grossa molecola. Il nostro DNA è fatto di segmenti tali. Bombarderemo il corpo umano e le nostre 5 miliardi di molecole saranno colpite con un trattamento simile ai raggi X perché le onde passeranno attraverso il corpo sconvolgendo il sistema di comunicazione intercellulare. Rischiamo di deteriorare la natura umana. Solo per il 5G americano è previsto il lancio di 20 mila satelliti. Si aggiungono i 20 mila della Cina, con un volumed’investimenti al di fuori di ogni immaginazione: 10-12 trilioni di dollari. È un colossale processo di rilancio della finanza mondiale perché il 5G ci sarà solo se c’è l’infrastruttura che lo regge. È dunque una guerra economica con le sanzioni, a livello biochimico e d’ingegneria genetica e d’intelligenza artificiale.

Chi sarà dotato di supremazia tecnologica sarà in grado di infliggere all’avversario gravi, serie perdite umane e materiali. Mai come oggi vi sonodifferenze così grandi tra ricchi e poveri. C’è potenza di pochi contro l’impotenza e la miseria di miliardi di persone. Abbiamo di fronte un gigantesco Leviatano. Per questo dobbiamo incominciare a difendere il nostro territorio. Quanti più saremo dove siamo e ci difenderemo collettivamente, tanto più saremo non reprimibili. Saremo vittime se saremo pochi, isolati e senza progetto. Deve esservi una difesa collettiva e organizzata, consapevole. Questa è la vera democrazia, dice Giulietto Chiesa. Organizzare la democrazia dei cittadini. La democrazia è fatta dalla discussione, storia, tradizioni, ricordi, amori, vittime, non da un voto si o no su Internet. Un approccio online nega le differenze dei popoli. Ogni popolo ha il suo spirito. Uniformandosi, ogni popolo perderà la propria ricchezza. Se vuoi conoscere i misteri profondi dell’universo devi guardare tutto in termini di vibrazioni. Lo spirito è vibrazione.

Noi siamo figli della tradizione giudaico cristiana. Manca solo il rapporto con la biosfera. L’ha detto anche il papa: manca solo un comandamento, il rapporto tra l’uomo e la biosfera, la natura. I popoli senza tecnologie non sono stati contaminati e sono più liberi e dunque abbiamo bisogno delle altre religioni e civiltà rimaste “indietro” rispetto a questo sviluppo tecnologico.

Giulietto Chiesa si è poi espresso sul fenomeno Greta Thunberg. L’inquinamento si può combattere con assoluta certezza fino a un certo punto perché la crescita economica che produciamo non si può eliminare, e quindi l’inquinamento è inevitabile e non ha nulla a vedere col riscaldamento climatico. Che esiste: il problema è capire cosa lo provoca. Cinquecento ricercatori hanno firmato un documento secondo cui esso non è provocato dall’aumento dell’anidride carbonica. Dunque, prima di dire che si vuole combattere, bisogna arrivare a una conclusione, mentre di tale discussione non c’è traccia. C’è invece tifo calcistico da una parte e dall’altra. So comunque che i grandi centri del potere economico, conclude, si sono mobilitati per rilanciare il capitalismo e la finanza che sono nei guai con strumenti artificiali. Uno di questi è la green economy, la prosecuzione di un sistema economico insostenibile. Se ancora si insiste sullo sviluppo di tale sviluppo, avremo il mondo in frantumi. Certo ci sono mille ragazzi sensibili, il problema è vedere se c’è un pifferaio magico in un mondo di gente in buona fede. Come mai tutti i giornali improvvisamente si accorgono del riscaldamento climatico? E lo sono tutti i canali che hanno mentito da 50 anni sullo stato del mondo? Dovremmo credere improvvisamente che si sono tutti convertiti? So quanto questa gente ha mentito e taciuto sui massacri indecorosi che abbiamo provocato, so come hanno affrontato la questione della guerra in Iraq. Non possiamo essere così ingenui da pensare che questa gente agisca in base a sani e trasparenti principi etici.

Corrado Bianchi Porro

 

Il mondo visto in controluce
4 ottobre 2019

 

Che cosa so di quel che sarò, io che non so cosa sono? / Essere ciò che penso / Ma penso di essere tante cose / e tanti pensano la stessa cosa (Alvaro de Campos)

“Con la nostra iniziativa”, ha detto Aldo Alfonso Ferrini aprendo il convegno di Fratria che si è tenuto a Lugano Paradiso, “lo scopo è di essere un puntod’incontro tra persone che hanno un pensiero laterale, aiutandoci a riflettere su quanto viene scritto ogni giorno dai media ufficiali”. Invitato speciale dopo il precedente incontro con Alexsandr Dugin è stato, al secondo incontro, Giulietto Chiesa, personaggio autorevole della politica italiana, oggi direttore di Pandora TV. Scrive l’Huffington Post che Pandora TV rappresenta “un’altra visione del mondo, un nuovo straordinario strumento di informazione collettiva, indipendente e democratica, nato per spiegare le crisi, svelare retroscena oscurate dalla stampa predominante internazionale, dare voce ai cittadini divenuti merce del mercato della comunicazione e mettere ordine nel caos del villaggio globale informativo”. La maggior parte della gente, ha commentato Giulietto Chiesa, vive in un mondo virtuale senza aver criteri per valutare ciò che accade attorno. La parola democrazia, non riveste più alcun significato, men che meno nelle società occidentali, chiamando al voto ogni quattro anni. Il vocabolario comune ha perduto il suo senso.

Democrazia significa potere del popolo, ma poi si condannano i populismi che rappresentano una rivolta della gente contro un potere non più popolare. Siamo vittime di un colossale colpo di Stato fatto non coi carri armati e fucili, ma comprando i rappresentanti del popolo. L’economia non è più capitalistica. Il Pil del pianeta si aggira intorno ai 70 trilioni di dollari (70 mila miliardi). Ma la massa complessiva di capitale esistente, reale o virtuale, è 200 volte superiore. Son denari prodotti dal nulla, dai computer, inventati dalla finanza e hanno comperato tutti. Ci hanno trasformato in merce, in enorme massa di denaro inventata dal niente in un mondo dove le attività principali sono corruzione. In caso di guerra nucleare tra USA e Cina o Russia, l’Europa sarà distrutta in un giorno e mezzo. In un sistema di risorse finite, spiega Giulietto Chiesa, lo sviluppo infinito è impossibile. Le risorse del pianeta sono limitate. La trave è stata così caricata che è ormai vicina alla rottura. Molti sostengono che la guerra sia impossibile perché distruttiva, in realtà è in atto quella ibrida con una tecnologia diversa. Siamo prigionieri della tecnologia che ha modificato il tempo delle nostre decisioni. I cellulari modificano geneticamente i nostri figli e determinano il nostro comportamento. Il progresso è dunque bene o male? Siamo all’avvio del controllo globale del cervello della popolazione del mondo. Col 5G il telefonino avrà 16 antenne, ciascuna delle quali composta da centinaia di antenne che innestano altissime frequenze e cortissime lunghezze d’onda: 5 nanometri. È la dimensione di una grossa molecola. Il nostro DNA è fatto di segmenti tali. Bombarderemo il corpo umano e le nostre 5 miliardi di molecole saranno colpite con un trattamento simile ai raggi X perché le onde passeranno attraverso il corpo sconvolgendo il sistema di comunicazione intercellulare. Rischiamo di deteriorare la natura umana. Solo per il 5G americano è previsto il lancio di 20 mila satelliti. Si aggiungono i 20 mila della Cina, con un volumed’investimenti al di fuori di ogni immaginazione: 10-12 trilioni di dollari. È un colossale processo di rilancio della finanza mondiale perché il 5G ci sarà solo se c’è l’infrastruttura che lo regge. È dunque una guerra economica con le sanzioni, a livello biochimico e d’ingegneria genetica e d’intelligenza artificiale.

Chi sarà dotato di supremazia tecnologica sarà in grado di infliggere all’avversario gravi, serie perdite umane e materiali. Mai come oggi vi sonodifferenze così grandi tra ricchi e poveri. C’è potenza di pochi contro l’impotenza e la miseria di miliardi di persone. Abbiamo di fronte un gigantesco Leviatano. Per questo dobbiamo incominciare a difendere il nostro territorio. Quanti più saremo dove siamo e ci difenderemo collettivamente, tanto più saremo non reprimibili. Saremo vittime se saremo pochi, isolati e senza progetto. Deve esservi una difesa collettiva e organizzata, consapevole. Questa è la vera democrazia, dice Giulietto Chiesa. Organizzare la democrazia dei cittadini. La democrazia è fatta dalla discussione, storia, tradizioni, ricordi, amori, vittime, non da un voto si o no su Internet. Un approccio online nega le differenze dei popoli. Ogni popolo ha il suo spirito. Uniformandosi, ogni popolo perderà la propria ricchezza. Se vuoi conoscere i misteri profondi dell’universo devi guardare tutto in termini di vibrazioni. Lo spirito è vibrazione.

Noi siamo figli della tradizione giudaico cristiana. Manca solo il rapporto con la biosfera. L’ha detto anche il papa: manca solo un comandamento, il rapporto tra l’uomo e la biosfera, la natura. I popoli senza tecnologie non sono stati contaminati e sono più liberi e dunque abbiamo bisogno delle altre religioni e civiltà rimaste “indietro” rispetto a questo sviluppo tecnologico.

Giulietto Chiesa si è poi espresso sul fenomeno Greta Thunberg. L’inquinamento si può combattere con assoluta certezza fino a un certo punto perché la crescita economica che produciamo non si può eliminare, e quindi l’inquinamento è inevitabile e non ha nulla a vedere col riscaldamento climatico. Che esiste: il problema è capire cosa lo provoca. Cinquecento ricercatori hanno firmato un documento secondo cui esso non è provocato dall’aumento dell’anidride carbonica. Dunque, prima di dire che si vuole combattere, bisogna arrivare a una conclusione, mentre di tale discussione non c’è traccia. C’è invece tifo calcistico da una parte e dall’altra. So comunque che i grandi centri del potere economico, conclude, si sono mobilitati per rilanciare il capitalismo e la finanza che sono nei guai con strumenti artificiali. Uno di questi è la green economy, la prosecuzione di un sistema economico insostenibile. Se ancora si insiste sullo sviluppo di tale sviluppo, avremo il mondo in frantumi. Certo ci sono mille ragazzi sensibili, il problema è vedere se c’è un pifferaio magico in un mondo di gente in buona fede. Come mai tutti i giornali improvvisamente si accorgono del riscaldamento climatico? E lo sono tutti i canali che hanno mentito da 50 anni sullo stato del mondo? Dovremmo credere improvvisamente che si sono tutti convertiti? So quanto questa gente ha mentito e taciuto sui massacri indecorosi che abbiamo provocato, so come hanno affrontato la questione della guerra in Iraq. Non possiamo essere così ingenui da pensare che questa gente agisca in base a sani e trasparenti principi etici.

Corrado Bianchi Porro

 

Filosofo e politologo Aleksandr Dugin

Europa, la grande sedotta


Ma chi di loro mangiò del loto il dolcissimo frutto / non voleva portar notizie e indietro tornare. […] Li trascinai per forza, piangenti, / e nelle concave navi sotto i banchi dovetti cacciarli e legarli.
(Omero, Odissea)

l primo incontro della neo costi­tuita Fratria, è iniziato col botto, con l’intervento al Pestalozzi di Lugano di Aleksandr Dugin, po­litologo e consigliere strategico di Pu­tin e di Alberto Micalizzi, economista e ricercatore universitario. Ma cos’è l’associazione Fratria? Il significato è legato alla fratellanza: né matria, né patria, è stato detto. Il suo simbolo è l’albero rovesciato con le radici in alto «perché l’uomo è una pianta celeste», hanno aggiunto. E la natura insegna il dovere di ciascuno. Insomma, un gruppo di amici che intendono andare oltre il “politicamente corretto” e comunque ben lontani dal gregge che ci condizio­na nei tragitti, proponendo incontri in ambito culturale, ambientale e della salute pubblica. Il prossimo interven­to sarà infatti sui problemi dell’acqua, l’oro blu dei prossimi anni. Seguirà un dibattito sull’autonomismo catalano.

Il primo incontro che si è tenuto a Lugano è stato invece dedicato al nuo­vo mondo multipolare: dalla globa­lizzazione al multipolarismo. Quanto siano controcorrente le tesi discusse l’ha testimoniato il primo relatore, Alberto Micalizzi, docente di Scienza delle finanze, che ha strenuamente di­feso le tesi espresse dal nuovo gover­no gialloverde sul bilancio dello Stato italiano. Secondo Micalizzi, il modello sociale europeo fa fatica a far crescere l’economia degli Stati e ad uscire dal chiacchiericcio radical-chic. L’Europa oggi è in una crisi non tanto econo­mica, quanto sociale. Anche se, per la verità, la vicinanza tra i popoli è molto maggiore oggi di quanto lo fosse un tempo. Per questo, politica ed econo­mia devono imparare a dialogare. Nel 2000, l’Europa rappresentava un ter­zo degli scambi mondiali: oggi appena un quarto, mentre gli scambi mondiali sono cresciuti tre volte, grazie a Paesi come Cina, Turchia, Corea. L’Europa ha segnalato una decrescita accentuata dopo la crisi del 2008. L’Italia è stata addirittura superata dalla Corea del Sud come Pil pro capite. Questo è un segnale del progressivo indebolimento del ruolo dell’Europa.

Quali sono i motivi e cosa è possibile fare? «La globalizzazione selvaggia non è una soluzione», commenta Micalizzi. Il fatto è che la Banca Centrale Euro­pea ha solo obiettivi monetari nella propria politica e non quelli di una crescita dell’occupazione come invece la Federal Reserve americana. Biso­gna dunque adeguare lo statuto della BCE. Così agli Stati sono stati posti de­gli obiettivi come il fiscal compact che non hanno alcuna riprova scientifica di validità. Ma i parametri sono stati posti ad occhio, come in un laboratorio sperimentale. Questo ha generato la deflazione in Europa con il 30% delle capacità produttive che non sono state utilizzate, asfissiando le imprese. Ci si è “inventato” il problema del debito pubblico, mentre quello del Giappone è ben più elevato rispetto al Pil. In questo modo, con credito contingentato non c’è liquidità per le imprese. Il mondo bancario ha accompagnato uno sce­nario deflattivo. Secondo il relatore, bisogna che gli Stati membri tornino invece ad alimentare la domanda in­terna, liberando il freno fiscale per l’economia domestica.

Parallelo lo scenario descritto da Aleksandr Dugin. Il mondo multipo­lare che noi auspichiamo come cura, non significa affatto un ritorno ai na­zionalismi. Dopo la fine del governo bipolare USA-URSS è nata la globaliz­zazione come risposta per tutto, senza più un polo di attrazione. Così nasce l’Unione Europea con l’idea di diven­tare sovrana e indipendente. Non ci si rende conto che la globalizzazione è unipolare, al servizio del capitale finanziario, secondo gli schemi della cultura occidentale. L’Unione Europea ha sbagliato strada perché ha seguito questa traccia, senza alcun dialogo con le altre culture e civiltà. Così Bruxelles intende uniformare tutto al suo inter­no. Si tratta di un sistema nato male fin dalle origini proprio perché non è multipolare.

«Il vero esempio di un sistema mul­tipolare non è l’UE, ma la Svizzera», dice Dugin. Essa ha infatti in sé varie lingue, culture, religioni in un equilibrio di poteri. La Svizzera è armonia; l’UE è disequilibrio. L’UE è il tradimento del­la vocazione svizzera anche se questo non significa che il modello multipolare sia destinato a soccombere. «Davide ha sconfitto Golia», afferma Dugin. La Svizzera accetta le diversità, è pluri­centrica e pluralista e le diversità sono organiche al reciproco funzionamento e per questo non sono etichette vuo­te. La UE è invece soggettività senza soggetto. Globalizzazione oggi signifi­ca occidentalizzarsi, a prescindere dal luogo geografico. L’Europa è diventa­ta parte dell’occidentalizzazione. La Svizzera ha invece detto “no” alla UE perché è un sistema multipolare, vive in equilibrio tra diverse religioni, con una democrazia diretta e in fratellanza. L’Europa se vuole sopravvivere, deve diventare una grande Svizzera. Inve­ce l’Europa giacobina non ha futuro. In effetti, l’identità europea sociale è francese, tedesca, italiana, protestan­te, cattolica. Questo non significa che la Svizzera non abbia una sua cen­tralità. È una democrazia diretta con un esercito popolare, non è anarchia. Anche il problema dell’immigrazione deve seguire il modello svizzero sen­za arrivare alla xenofobia. L’Europa dunque deve ritornare multipolare, indipendente e sovrana. «Trump vuole distruggere l’UE», commenta Dugin, «Putin, no». Vuole che ritorni ad esse­re multipolare. Noi in Russia vogliamo un’Europa forte e unita, ma multipo­lare. Vogliamo un’Europa svizzera e accettando le diversità non significa che accettiamo tutto, perché bisogna essere leali a questa identità e leali con le regole.

Corrado Bianchi Porro

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